Alice

IMG_0694

Ero probabilmente ciò che più si avvicinava alla sua idea di amico; non era un tipo scontroso ma la gente, la gente normale, faceva fatica a trattare con lui. Era educato, non era colto, così pacifico da dare sui nervi.

Il problema era che i suoi occhi erano distanti, osservavano mondo invisibili, persi nel suo animo. Era pensieroso, come succede a tutti, ma per i più l’incanto dura pochi secondi e poi la vita, con la prepotenza di una cascata, riprende il suo corso.

Non ebbi molti dialoghi con lui, si può dire che preferisse ascoltare, e se ci penso oggi mi ricordo nitidamente solo uno di questi rari momenti di condivisione.

Mi parlò quel giorno del suo unico amore.

Disse: “Si chiamava Alice.”

E mentre parlava sembrava guardarla con quei suoi occhi perduti. Come se fosse davanti a noi, nel cortile sotto al ciliegio in fiore.

“Avevo dodici o tredici anni quando la incontrai. Sono passati molti anni da quel giorno, e tramonti e poi notti e altri giorni, tutti uguali. Era poco più che una bambina, avrà avuto la mia età forse, indossava un vestito verde smeraldo e doveva aver appuntato un qualche fiocco bianco, ma il tempo sta rapendo questi dettagli. Fu di pomeriggio, in montagna; la luce quando tramonta sulle valli intreccia colori che hanno il sapore dell’antico. Ricordo colori gialli di pergamena, ed erba bruciata dal sole e dal vento estivo. Non ricordo che disse nemmeno una parola e ancora oggi mi chiedo come io faccia a sapere il suo nome. Aveva i capelli lunghi, castani e lisci come un disegno.”

Si fermò qualche istante; pensai che avesse finito il suo racconto, già stupito di tanta loquacità, ma improvvisamente riprese a parlare, come se avesse solo in quel momento risolto un rompicapo che da tempo lo lasciava insonne.

“La incontrai in sogno quella notte. E non la vidi mai più. Fu per me la più atroce delle condanne, il suo volto era dissolto al mio risveglio, disperso nel mattino. Mi rimase così il suo vestito, e la perfezione del suo essere, i colori dorati e il suo nome. Misteriosi sono i sogni, bruciano le anime di malinconia dal loro regno inafferrabile. Un sogno condannò quel ragazzo una notte stellata. Incontrai la perfezione in una dimensione proibita, troppo presto per il mio cuore di bambino.”

Prese fiato un’ultima volta.

“Vedi, i sogni non sono molto diversi dai ricordi. I ricordi però appartengono totalmente al passato, i sogni invece non hanno tempo. Mi ritrovai così, ancora ragazzo, con il ricordo di un amore mai incontrato. E non c’è niente di peggio per un ragazzo di aver incontrato l’amore troppo perso e di averlo perduto. Ho vissuto tutta la mia vita nel ricordo di un evento che deve ancora accadere. So però che non potrà mai più ripetersi perché nella mia anima, in una qualche dimensione, questo evento è già stato. Mi aggiro allora per il mondo, come in un labirinto di specchi; confondo i riflessi ed inseguo tenui bagliori.”

Eterni

IMG_0231.JPG

Mi innamorai un mattino dell’architettura della parola.

Le grandi volte marmorizzate dal vento

e le vetrate su mondi rari e fragili,

maestose cascate di nuvole liquefatte.

Ombre danzanti sull’animo mio

scavano tombe fangose a cui do nomi

pronunciati talvolta da silenziose statue di

uomini solo pensati.

Quanto costa una sola parola

 succhiata, rubata a questa fonte amara.

Porta il peso degli Eterni, sospesi

tra mondi che mi tolgono il fiato.

Innocenti

rovine

Regaliamoci ancora pochi attimi d’illusione

nutrendoci del pallido incanto di cui resta

appena la traccia a matita.

Sarà troppo tardi domani

per poter fingere ancora

che esistano i colori,

che le notti non abbiano spazzato questi solitari cortili,

che ci si possa svegliare di nuovo,

innocenti, in abbracci d’amore

Nubi

0-copy

 

Imperturbabile e rarefatto quella gelida mattina.

Mente limpida, levigata dalle notti,

consumata dai pensieri, umiliata e imbruttita,

triste di pianto, annegata d’incanto.

Marciavo sulle ceneri e riscoprivo il sapore

Pungente dell’ossigeno.

Ricordo, era mattina, era freddo,

rincorsi il mio fiato tra splendenti nubi d’inverno.

Splendente

uscire-dalla-solitudine-750x364

Capì fin troppo presto che la solitudine era la più affidabile delle amiche. E non era quel tipo di solitudine che guardiamo con aria compassionevole nell’osservare il bambino che gioca solitario, era la solitudine dalla vita, quel misterioso distacco dal reale, una piccola pausa nell’eterno scorrere. Ritornando da quell’abisso inevitabilmente la compagnia degli uomini gli risultava d’intralcio, come l’amico inopportuno che ti parla sulla melodia di una vecchia canzone quasi dimenticata. Laggiù dal placido abisso rivalutava il mondo, rivalutava la vita effimera, ridimensionava i sentimenti, forze inenarrabili ma così umane, così limitate all’esistenza, alla vita. Così l’amore, così il dolore grane consolatore, legato, saldato a questo corpo terreno.

Inseguiva allora solo la bellezza, la sola tra le virtù eterne consapevole della propria fugacità. Solo questo ricercava, timidamente: il brivido di felicità. Nascosto tra le lettere ingiallite, nei colori in campagna e solo raramente negli uomini. Ah gli uomini, creature imprevedibili che sfuggono, ingannandosi, alle leggi del cosmo. Schiavi di istinto e animalesco desiderio.

Malediva questa sua consapevolezza, la debolezza della carne, la bassezza che riporta al reale i pensieri più astratti. Ma nelle dolci sera guidato da fluide melodie capitava comunque di trovarla, altezzosa, solitudine splendente.